Partito e classe. Introduzione (il rapporto delle forze di classe in Donbass, parte1)

Nella valutazione degli eventi in Donbass, le forze di sinistra, spesso e volentieri, giungono a conclusioni estreme: alcuni credono che qui, presumibilmente, si sia verificata una rivoluzione socialista, soppressa poi da oligarchi russi e da una reazione interna, altri, invece, che i lavoratori non abbiano nemmeno avanzato rivendicazioni di classe, di conseguenza, per il momento, ritengono sufficiente limitarsi al ruolo di semplici osservatori e continuare ad aspettare un’autentica rivoluzione. Gli estremi, come è noto, convergono, perchè entrambi questi punti di vista portano al fatto che la sinistra sia completamente staccata dalle masse e abbia una visuale distante dagli eventi. «Non piangere, non ridere, non odiare, ma comprendere», diceva il filosofo olandese Spinosa. Di conseguenza, anche noi dobbiamo all’inizio tentare di capire ciò che accade, e poi determinare il ruolo del partito nel movimento dei lavoratori.

La posizione del proletariato industriale alla vigilia della guerra

Iniziamo dal fatto che le proteste in Donbass possono essere considerate una risposta all «Euro Maidan». Proprio gli eventi di Kiev hanno risvegliato il Donbass, che negli ultimi 25 anni non si era quasi manifestato politicamente. Nelle altre parti dell’Ucraina si era soliti ritenere che qui vivesse la parte più sottomessa della popolazione del paese, sprezzantemente definita «bestiame». I nazionalisti ucraini non erano riusciti ad attirare dalla propria parte il Donbass ne nel 2004, ai tempi del «Maidan», ne nel 2013, durante l’Euromaidan. Peraltro, nemmeno Viktor Yanukovic non ha goduto di grande autorità presso la popolazione del luogo. Certamente, allora l’amministrazione della regione di Donetsk, utilizzando risorse pubbliche, induceva grandi masse di persone a partecipare alle manifestazioni in appoggio del presidente, ma questo in generale non significava necessariamente che essi lo appoggiassero realmente. Al contrario, in Donbass, lo odiavano per il fatto che non avesse rispettato le promesse elettorali: stabilire normali relazioni con la Russia, il conferimento al russo dello status di lingua di Stato, eccetera… In Donbass, anche se lo hanno votato, in generale non erano per Yanukovic, ma semplicemente contro Viktor Yushcenko e Yulia Timoshenko. Nel 2014, dopo il colpo di Stato, quando il presidente scappò all’estero, all’odio si è aggiunto il disprezzo.

Per quanto riguarda il proletariato, esso per lungo tempo non ha separato i propri interessi da quelli dell’oligarchia locale. Nel Donbass pre-rivoluzionario i lavoratori salariati erano affamati, sopravvivevano in baracche e lavoravano 12 ore al giorno, quindi non avevano nulla da perdere, se non le proprie catene. Poi, prima dell’inizio della guerra del Donbass, nelle fabbriche e nelle miniere venivano pagati stipendi abbastanza alti, per questo la crescita del benessere del proletariato industriale era legata alla crescita del benessere dei proprietari delle imprese. Così, nel 2013, lo stipendio medio nella regione di Donetsk era di 3 800 grivne, mentre per l’Ucraina 3 300. Mentre la media del salario nella regione del carbone era all’incirca di 5700 grivne, la media del settore industriale era all’incirca di 4600 grivne.

Le statistiche ufficiali, naturalmente, forniscono solo dati approssimativi, quindi spesso i redditi dei lavoratori sono stati leggermente superiori.
Questo può essere spiegato con il ricevimento di una parte di stipendio «in busta» (contanti, erogati al di là dello stipendio base per evadere le tasse), e la ricerca di entrate extra. Giornata lavorativa di otto ore, giorni festivi veri e propri, ferie pagate ogni anno — tutto ciò ha contribuito al fatto che il proletariato vendeva la sua manodopera non solo alla fabbrica, ma anche fuori. Per questo, invece della lotta per rivendicazioni economiche in fabbrica o in miniera, i lavoratori spesso cercavano guadagni aggiuntivi fuori . In questo non vi è nulla di sorprendente, dato che lo sciopero è solo una delle forme di lotta del lavoratore per più favorevoli condizioni di vendita della propria forza lavoro. Ma la lotta può cambiare le sue forme di attuazione, partendo dai «lavoretti extra» fino ad arrivare alla ricerca di lavoro anche al di fuori dei luoghi di residenza (lavoratori migranti). In questo caso la vendita di forza lavoro non solo in azienda, ma anche al di fuori di essa, aumenta la giornata di lavoro e intensifica il livello di sfruttamento dello stesso.

Karl Marx e Friedrich Engels, nel Manifesto del partito comunista, hanno evidenziato come, insieme al proletariato socialista, ci sono anche insegnamenti reazionari. Durante la Perestroika, in Unione Sovietica, grande popolarità conquistò il cosiddetto «socialismo di mercato». Con l’aiuto delle riforme di mercato si voleva «correggere» il socialismo. Si sa benissimo a cosa ha portato questo approccio, alla restaurazione del capitalismo. Tuttavia, residui delle conquiste socialiste resistevano ancora, consentendo ai lavoratori di condurre uno stile di vita non solo accettabile ma, se così si può dire, piccolo borghese. Vivono in appartamenti, ricevuti gratuitamente in epoca sovietica, spesso possiedono un appezzamento di terreno, che permette loro di fare una buona scorta di cibo, e ricevono contemporaneamente lo stipendio e la pensione statale per il raggiungimento di una certa età.

Soffermiamoci dettagliatamente su questo fenomeno: il possesso di appezzamenti di terreno da parte dei lavoratori. I famosi 6 ettari cominciarono ad essere assegnati gratis all’incirca nel 1960. Questa decisione della dirigenza sovietica, a prima vista innocua, ha avuto conseguenze molto tristi per il primo paese socialista nel mondo. Al posto di un’ulteriore socializzazione della produzione con l’uso delle macchine, che consentono di migliorare notevolmente la produttività del lavoro, è sorto il processo inverso, ovvero: insignificanti pezzi di terra sono stati lavorati con strumenti di lavoro arcaici. Ma sono proprio le alte produzioni il segno distintivo della società comunista. Con la restaurazione del capitalismo, la «Giornata internazionale della solidarietà dei lavoratori», grazie all’intervento dei capitalisti, si è trasformata nella «Giornata della primavera», e al posto della battaglia delle masse contro l’oppressore sociale, è stato possibile osservare solo una massa di lavoratori su piccoli appezzamenti di terreno. Prima ancora della guerra, un lavoratore mi disse che non avrebbe partecipato a nessuna rivolta, fino a quando a casa sua ci fosse stato un sacco di patate. Allora gli risposi, che la riforma agraria, prima o poi, lo avrebbe spazzato via.

Tutti questi benefici sociali sarebbero da considerare un lusso non solo per gli altri Paesi del «terzo mondo», dove non c’era il socialismo, ma anche per i Paesi capitalistici altamente sviluppati. Non è una forzatura affermare che il proletariato industriale in Donbass ha ricoperto una posizione di «aristocrazia operaia». Ma se nei paesi Occidentali, l’aristocrazia dei lavoratori, era il risultato della corruzione dei vertici del proletariato, come parte dei profitti monopolistici, qui — era legata alle vestigia del socialismo. In condizioni di universale impoverimento provocato dalla controrivoluzione e in conseguenza di un calo della produzione (nel 1990 il PIL dell’Ucraina è diminuito di quasi il 60 %, più del doppio rispetto al declino dell’economia degli USA nel periodo della Grande depressione), i minatori e i lavoratori delle acciaierie occupavano una posizione privilegiata. Ognuno, ovviamente, ha cercato di mantenere questa posizione. Questo atteggiamento si è manifestato in maniera lampante durante la successiva riduzione del personale, quando, invece di unirsi contro i nemici di classe, i lavoratori hanno condotto una lotta all’interno della propria classe. Per rimanere in azienda o conquistare un posto migliore nella gerarchia di produzione, i lavoratori cercarono di ingraziarsi i superiori e di sostituirsi a vicenda.

Questa situazione è dovuta al fatto che, nell’era del capitalismo, la competizione non è solo tra capitalisti, ma anche tra proletari. E con ogni licenziamento o chiusura di azienda, la concorrenza all’interno del proletariato è cresciuta. Nella fase di formazione del capitalismo il lavoro manuale è soppiantato dalle macchine, che creano un esercito di riserva del lavoro. La riduzione della richiesta di lavoro ha portato ad una riduzione del suo prezzo. Ma nell’ex Unione Sovietica è accaduto esattamente il contrario. Quando il Donbass chiuse le miniere e i minatori finirono per strada, questo non significò che stava cadendo la richiesta di lavoro. Al contrario, la richiesta di lavoro è rimasta invariata, ha solo assunto un’altra forma. Al posto delle imprese minerarie, spesso comparivano i cosiddetti «kopanka», piccole miniere illegali, in cui il carbone viene estratto con metodi artigianali. Spesso in quelle miniere la paga era anche più alta rispetto alle miniere legali, ma le condizioni di lavoro erano terribili, come nel periodo pre-rivoluzionario, nella totale assenza di garanzie sociali. Nel 2011, nella regione di Donetsk, sono state liquidate 420 miniere illegali, ma 314 ancora continuarono a lavorare. Ad esempio, a Snizhne più della metà dei«kopanok» liquidati hanno condotto estrazioni in zone chiuse e solo un quarto di loro — su zone libere. In altri casi, i «kopanka» si trovavano su territori dove ancora vi erano miniere attive L’estrazione Illegale di carbone è stata condotta su quasi tutto il territorio della regione di Donetsk, ma più spesso — nella parte orientale della regione, perché lì giacimenti di carbone si trovano vicino alla superficie.

Nella regione di Donetsk l’estrazione illegale di carbone era controllata dalla famiglia e dall’entourage di Viktor Yanukovich. Questa situazione generò un conflitto con gli interessi di Rinat Akhmetov — proprietario delle miniere legali. La famiglia Yanukovich smerciò carbone illegale all’estero, ciò risultò molto più conveniente. Le materie prime, in un primo momento, sono state consegnate alle miniere governative, e poi, attraverso la mediazione delle imprese, esportate all’estero. In questo caso, a carico del bilancio nazionale, sono state destinate ingenti somme di denaro per lo sviluppo dell’industria del carbone in Ucraina. Il volume annuale della sovvenzione era pari a oltre 12,5 miliardi di dollari. Naturalmente, il denaro non ha raggiunto la destinazione, ma «è caduto» nelle tasche dell’entourage di Yanukovich. E’ nato così il mito della sovvenzione alla regione di Donetsk. In breve tempo, il presidente ucraino è stato in grado di mettere insieme una fortuna così enorme fino al punto che non riuscì più a contenere gli oligarchi ucraini, che fino a poco prima lo consideravano un loro pupillo. Sono stati loro ad organizzare contro di lui un complotto, ovvero l’euromaidan».

Ma, a differenza dell’attuale governo ucraino, Viktor Yanukovich, ha almeno cercato di comportarsi come il presidente di un paese indipendente, destreggiandosi tra i due centri di accumulazione del capitale — la UE e la Russia. Egli sapeva bene che, tramite l’ Accordo di associazione (con la UE) Bruxelles avrebbe cercato, a spese dell’Ucraina, di mitigare la crisi economica nell’Unione europea. A tal proposito, il presidente ha ragionevolmente richiesto dalla UE una compensazione monetaria, ma anche di garanzia, che consentisse di vendere in EU la principale merce ucraina: la forza lavoro. Per tale garanzia sarebbe servita l’ abolizione del regime dei visti. Chi è venuto al posto di Yanukovich, ha acconsentito ad un’associazione senza alcuna compensazione e garanzia. Naturalmente, il deposto presidente, non aveva nulla contro l’unione Europea, ma se l’accordo con la Russia avesse previsto eventuali benefici economici, Yanukovich certamente lo avrebbe concluso. Oggi la politica ucraina si basa completamente sulla retorica anti-russa.

Il colpo di stato a Kiev nel 2014 ha mostrato che l’Ucraina potrebbe mantenere la sua integrità territoriale, solo mediante una politica «multidirezionale». Una volta presa la decisione di unirsi a uno dei centri di accumulazione del capitale, è iniziata la sua disfatta. L’ucraina è un campo di battaglia per i monopoli internazionali. La sua economia è completamente controllata attraverso il dollaro e l’euro, quindi, la politica ucraina, si riduce esclusivamente a compiere ciò che è necessario per creare nel paese un migliore clima per gli investimenti. Tuttavia, questa circostanza non impedisce, ma addirittura aiuta, gli oligarchi ucraini ad acquisire un ruolo di rilievo, così come non impedisce ai partiti ucraini di fare la propria politica personalistica. Tutti i partiti borghesi inquadrano il loro compito nella svendita dell’Ucraina alle multinazionali, in cambio di un permesso di rimanere qui come impiegati. Questo stato di cose, in primo luogo, colpisce i lavoratori ucraini, perché essi sperimentano su di sé un doppio sfruttamento, ovvero, nazionale e transnazionale da parte del capitale.

Contemporaneamente con questi eventi verificatesi in Ucraina, risulta chiaro il naufragio del cosiddetto mondo unipolare. Il capitale russo continua ad espandere la sua sfera di influenza, e l’imperialismo americano non è in grado di assimilare nella sua sfera di influenza tutto il territorio dell’Ucraina, da cui si è distaccata la Crimea e mezzo Donbass. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Continua

Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR

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