Donbass
Ritornando alla domanda posta da un compagno italiano, faccio notare che già durante le manifestazioni del febbraio 2014, i cittadini del Donbass si sono espressi in maggioranza non sull’indipendenza dello stato, ma sulla riorganizzazione federalista dell’Ucraina. Qui, i manifestanti hanno contato, tra le altre cose, sull’autorità locale. Quando, all’inizio di marzo 2014, si scoprì che questa ignorava le loro richieste, iniziò l’assalto agli edifici amministrativi. Uno di questi si concluse con successo nell’aprile dello stesso anno. Al congresso dei rappresentanti delle unità amministrative-territoriali della regione di Donetsk è avvenuta la proclamazione della Repubblica Popolare di Donetsk.
Ancora nel febbraio del 2014 il Donbass si riteneva parte dell’Ucraina sud-orientale (Novorossija), regione in cui pure si sono svolte manifestazioni contro il colpo di Stato a Kiev. Ma presto le altre regioni furono soppresse attraverso arresti di massa (Khar’kov) e massacri (Odessa). Per questo motivo, per il Donbass la separazione dall’Ucraina è diventata una questione di sopravvivenza. Allo stesso tempo, Kiev ha cercato di interrompere lo svolgimento di un referendum sull’autodeterminazione con l’aiuto di attrezzature militari e bande armate. Se nell’agosto del 2014 la Russia non avesse appoggiato le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, esse sarebbero state circondate da truppe ucraine, dopodiché sarebbe iniziato lo sterminio dei «separatisti» secondo lo «scenario di Odessa».
Di certo, l’assistenza della Russia non ha nulla a che vedere con l’aiuto internazionalista dell’URSS. Al contrario, il sostegno russo alle Repubbliche si spiega per via della presenza di contraddizioni inter-imperialiste. Se l’Occidente avesse riconosciuto la Crimea come parte della Russia e avesse rimosso le sanzioni economiche, probabilmente il Donbass non sarebbe mai stato aiutato. E non è colpa sua se il Donbass non è riuscito ad affermarsi autonomamente. Dopotutto, anche Kiev non è sola a combattere contro il Donbass: dietro c’è l’imperialismo dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Nonostante le circostanze, la milizia di Slavyansk ha resistito efficacemente alla macchina militare ucraina per un bel po’ di tempo.
Tutti i conflitti armati sul territorio post-sovietico, incluso il conflitto in Donbass, sono il risultato della disfatta del socialismo. Mentre in Transnistria, Abkhazia, Ossetia del Sud, separatisi rispettivamente da Moldavia e Georgia per restare all’interno dell’URSS, le lotte hanno avuto luogo all’inizio degli anni novanta; in Ucraina il conflitto è stato posticipato di oltre 20 anni. L’Ucraina moderna è comparsa solo grazie al socialismo e per un po’ di tempo ha potuto esistere virando tra due centri di accumulazione del capitale: quello russo e quello euro-atlantico. Non appena ha cominciato ad appoggiarsi ad uno di questi centri, ha cominciato a disfarsi. Ed è solo grazie all’aiuto dell’UE e degli USA che questo processo non si svolge precipitosamente.
Il Donbass, che lo voglia o no, è diventato parte del fronte anti-imperialista. La piccola borghesia che voleva conquistare il mercato del grande capitale, è costretta a condurre una lotta non solo contro l’oligarchia ucraina, ma contro l’intero gruppo imperialista che le sta dietro. L’attuale situazione politica in Ucraina è un esempio di come il conflitto interno possa diventare internazionale, senza che il suo carattere dipenda dalla volontà del popolo. Ne «La Sacra Famiglia», Karl Marx e Friedrich Engels affermano che “non si tratta di ciò che questo o quel proletario o anche tutto il proletariato si rappresenta provvisoriamente come scopo. Si tratta di ciò che è e di ciò che sarà costretto a fare storicamente conforme a questo essere.” Queste parole si applicano anche alla piccola borghesia. Ma quest’ultima, nel processo storico, non può fare più di quanto dovrebbe in accordo con la sua posizione.
Avendo vinto una parte del mercato dall’oligarchia, la piccola borghesia si batte con tutte le sue forze per difenderla. Ed è necessario difenderla non solo dal capitale ucraino, ma anche da quello euro-atlantico. Di fatto, questa è la componente antimperialista della lotta della piccola borghesia, e qui termina. Completare questa lotta fino alla distruzione del capitalismo è possibile solo con la forza del proletariato. La piccola borghesia non si preoccupa di questo, quindi l’internazionalismo si interessa poco ad essa come mezzo per combattere l’imperialismo americano. Alla piccola borghesia è sufficiente il patrocinio della Russia. L’internazionalismo è l’arma del solo proletariato. Un esempio di questo è la recente visita in Donbass della quarta carovana antifascista. Più di 50 antifascisti provenienti da 9 paesi del mondo hanno viaggiato attraverso il territorio della Repubblica popolare di Donetsk accompagnati esclusivamente dal Partito Comunista della DNR. Dal canto suo, la dirigenza della Repubblica ha ignorato la visita della carovana.
La lotta piccolo-borghese nel Donbass avrebbe fallito, se a un certo punto non fosse stata sostenuta dalla Russia. È stata sostenuta, non provocata, come affermano i media occidentali. In fondo, la Russia non è interessata al Donbass e neanche alla Crimea, bensì a preservare le posizioni dominanti nel mercato energetico europeo Alla Russia andava bene che l’Ucraina avesse quei confini, i confini che aveva fino al 2014, a patto che se non fosse divenuta membro dell’Unione Euroasiatica, mantenesse almeno uno status neutrale, che consentisse alla Russia di trasportare facilmente il proprio gas in Europa. In particolare Stati Uniti, che cercano di espellere la Russia dal mercato dell’energia, sono andati a scatenare il conflitto in Ucraina. Ma quello che il capitale americano non è riuscito ad ottenere è la Crimea e mezzo Donbass, e questo evidenzia l’ indebolimento della sua posizione nello spazio post-sovietico.
Per mantenere la loro posizione dominante, gli Stati Uniti hanno iniziato seriamente ad aggravare la situazione in tutto il mondo. Attacco missilistico in Siria, l’uscita dall’ accordo con l’Iran, il trasferimento della capitale d’Israele a Gerusalemme, il deterioramento della situazione in Donbass, questi sono tutti anelli di una catena. Ma per passare a un’offensiva su vasta scala Washington deve sapere esattamente quali tra i paesi europei sono suoi alleati affidabili. A quanto pare tra loro non vi è la Germania, che sta cercando di condurre la propria politica, e si accettano scommesse su Gran Bretagna e Francia. Quindi, se i negoziati per una soluzione pacifica del conflitto in Donbass si svolgeranno, verranno attuati in un formato diverso, non «normanno». Certo, formalmente «il quartetto normanno» può condurre l’incontro, ma valore avranno quelle trattative in cui si discuterà della dislocazione in Donbass della missione di mantenimento di pace delle nazioni unite in favore degli stati UNITI.
Non si può dire che in Donbass vi sia il socialismo,così come che sia probabile ci sia nel prossimo futuro. Ma nelle repubbliche di Donetsk e Lughansk (DNR e LNR), si realizza un’opposizione all’imperialismo americano, indebolendolo, e creando le condizioni necessarie per la futura rivoluzione socialista mondiale. Più ampio è il fronte antimperialista, in cui da poco tempo possiamo includere il Donbass, più deboli sono gli Stati Uniti, più la rivoluzione ha possibilità di vincere. Naturalmente, noi comunisti, siamo impegnati a garantire che la guerra in Donbass assuma un carattere socialista, e non borghese-democratico. Ma la politica è l’arte del possibile, e le possibilità sono definite dai rapporti delle forze di classe nello scenario internazionale, che ancora non si sommano a favore del socialismo.
Hegel riteneva che lo scopo della storia universale è l’auto-conoscenza dello spirito universale , che si incarna nel concetto dello spirito popolare. Il portatore dello spirito del mondo è di volta in lo spirito di un qualche popolo in particolare. Quando un popolo ha già superato la fase di massimo splendore, per l’altro è solo l’inizio. Per Hegel, ogni popolo ottiene il diritto di apportare il proprio contributo nel processo di conoscenza di sé dello «spirito del mondo». Se si capovolge questa affermazione, sostituendo il concetto di «mondo dello spirito» con «proletariato organizzato al comando con il partito rivoluzionario, si scopre che il popolo russo ha già contribuito al «processo di autoconoscenza», mettendo in atto la Grande rivoluzione socialista di Ottobre.
Dopo che il popolo russo ha rifiutato la propria conquista, il socialismo, è sceso volontariamente dall’arena storica, ed è improbabile che vi ritorni di nuovo. Questo non significa che i russi non sono più in grado di svolgere alcun ruolo nella storia. Appoggiando quei popoli che lottano contro il dominio del capitale, il popolo russo è ancora in grado di prendere un posto degno nella storia, pur non essendo in prima linea in questa lotta Tutto ciò che può la Russia moderna è sostenere le forze antimperialiste in tutto il mondo. Questo non accade perché la Russia sta lottando contro l’imperialismo, ma perché vuole emarginare il suo principale concorrente nel mercato globale. Ma proprio per questo, oggettivamente, aiuta «lo spirito universale» a fare il suo lavoro, attualmente riscontrabile da qualche parte in America Latina o nel Sud-Est Asiatico. Se si stabilisce un legame tra un movimento politico (America Latina) e una forza economica (Sud-Est Asiatico), il socialismo sarà imbattibile.
Stanislav Retinsky, segretario del Comitato centrale del Partido Comunista della DNR