Confronto tra imperialismi
Quando diciamo che l’Ucraina si trova tra due centri di accumulazione del capitale, ci riferiamo all’appartenenza territoriale. Geograficamente si trova tra l’Unione Europea e l’Unione Economica Euroasiatica. Entrambe questi organismi hanno influenza su di essa. Prima di tutto, ci riferiamo a Germania e Russia. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, più distanti, hanno un impatto molto maggiore. Per essere precisi, l’Ucraina è nella sfera di influenza di tre centri di accumulazione del capitale. A rigor di termini non c’è e non c’è mai stato un mondo unipolare, ma esiste un mercato mondiale in cui gli Stati Uniti occupano una posizione dominante. Allo stesso tempo Germania, Cina, Russia, Giappone e altri paesi sono pronti a competere con gli Stati Uniti per il dominio del mondo.
La politica mondiale è determinata dall’ equilibrio di potere tra i centri imperialisti. Ma questo rapporto è in costante cambiamento, come evidenziato dalla situazione attuale in Ucraina. Il conflitto nel Donbass illustra perfettamente il ruolo della Germania nel sistema della divisione internazionale del lavoro. Da un lato è partner minore degli Stati Uniti, d’altra parte sta già cercando di diventare partner di maggiore livello. Nel primo caso, la Germania, è costretta ad introdurre sanzioni contro la Russia, ma nel secondo caso cerca di influenzare il conflitto in Donbass seguendo il “formato normandia”, ovvero senza gli Stati Uniti. La Germania vuole condurre la propria politica in Europa, ma ancora è costretta a prendere in considerazione gli interessi degli Stati Uniti, a cui è vincolata in relazione alla nascita del proprio imperialismo.
Gli Stati Uniti sono interessati principalmente a distruggere il potenziale industriale del Donbass, la sua industria carbonifera, e alla fine assorbire il mercato energetico ucraino. A conferma di quanto è stato detto, nel settembre 2017 ci sono state prime consegne di carbone americano ad Odessa. Lo stesso destino spetterà a tutta l’Europa. Non è esagerato affermare che la guerra nel Donbass è una manifestazione della lotta degli Stati Uniti per il mercato dell’ energia dell’ Europa, dove le posizioni della Russia sono ancora forti. La Germania in questo confronto si sta orientando verso la parte russa, nella quale vede un rivale più debole. L’assorbimento del mercato europeo dell’energia da parte del capitale americano indebolirà considerevolmente le posizioni dell’ imperialismo tedesco.
Attualmente, gli Stati Uniti sono il secondo produttore mondiale di carbone, secondo solo alla la Cina. Circa 900 milioni tonnellate di materie prime vengono prodotte ogni anno, ovvero oltre 11% del volume mondiale. Nel 2016 la produzione di carbone nel mondo è diminuita, ma l’ anno successivo è nuovamente aumentata. L’ aumento più significativo (del 19%) è stato osservato negli Stati Uniti . Uno dei motivi è un forte aumento delle esportazioni di carbone. Nel 2017 le esportazioni degli Stati Uniti sono aumentate di oltre il 60% rispetto all’ anno precedente. L’esportazione nel Regno Unito è aumentata del 175%, in Francia è raddoppiata. In 10 anni, dal 2003 al 2013, le forniture di carbone americano al Regno Unito sono aumentate di oltre 10 volte, in Germania di 15 volte.
Gli Stati Uniti sono il secondo esportatore di» oro nero» in Europa, dopo la Russia. Ma con l’aiuto delle sanzioni anti-russe e l’aumento delle esportazioni, gli americani mirano a diventare leader nel mercato energetico europeo. Allo stesso tempo , la produzione di carbone in Europa continua a diminuire. Così in Gran Bretagna l’ultima miniera di carbone è stata dismessa nel dicembre 2015, anche se più di 3000 imprese operavano lì un centinaio di anni fa. In Germania c’erano solo due miniere di carbone operative, che saranno chiuse nel 2018. Negli Stati Uniti al contrario, Donald Trump ha revocato le restrizioni sull’estrazione del carbone introdotte da Barack Obama. Negli Stati Uniti ci sono le più grandi riserve di carbone del mondo, ma i monopoli del gas americano temono di perdere la loro quota nel mercato interno dell’ energia, quindi si oppongono all’aumento della produzione. Di conseguenza, Washington deve solo aumentare le esportazioni di carbone per mantenere a galla l’industria.
Tra Washington e Kiev ci sono accordi sulla fornitura di milioni tonnellate di carbone. A gennaio-novembre 2017 l’Ucraina ha importato oltre 17 milioni tonnellate di carburante, 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. La quota della Russia nelle importazioni è del 56,36%, quella degli Stati Uniti, che sono il secondo fornitore di carbone in Ucraina, del 24,84%. Allo stesso tempo, l’Ucraina paga il 40% in più per il carbone americano rispetto al russo. A loro volta, le imprese minerarie ucraine del carbone, in questo periodo hanno ridotto la produzione di carbone di oltre 5 milioni tonnellate (13,6%).
Nel breve periodo, l’elevata domanda di carbone in Ucraina continuerà. Il fatto è che fin dai tempi delle «guerre del gas» russo-ucraine, iniziate molto prima del «euromaidadan», le imprese iniziarono a convertirsi in massa dal gas al carbone. Questa tendenza viene ancora mantenuta oggi, quando Kiev tende in maniera molto più agguerrita al raggiungimento dell’ «indipendenza energetica» da Mosca. Ma abbandonando il gas russo, l’Ucraina cade sotto la dipendenza dal carbone americano, mantenendo allo stesso tempo un forte bisogno di antracite, la quale ancora non può essere fornita dagli Stati Uniti in quantità sufficiente. Di conseguenza, l’Ucraina fu costretta a cancellare le sanzioni contro un grosso fornitore di carbone russo «Yuzhtrans». Contemporaneamente riduce la propria produzione dichiarando il blocco della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, distruggendo il potenziale industriale del Donbass con l’aiuto dell’ artiglieria.
Il conflitto nel Donbass è l’ennesima conferma del fatto che l’imperialismo si trova in una crisi sistemica. I capitalisti stanno cercando di risolvere il problema della sovrapproduzione di beni con mezzi militari. Nel contesto imperialista questo si realizza con la distruzione di una parte dei mezzi di produzione. Così il collasso dell’Unione Sovietica e la sconfitta del socialismo nell’Europa orientale hanno permesso per qualche tempo di assicurare la crescita della produzione nei paesi capitalisti avanzati. Per questo le repubbliche dell’ex campo socialista hanno pagato un calo significativo della loro produzione. Negli anni novanta la perdita media del prodotto interno lordo pro capite è stata del 30%.
Per più di vent’anni lo spazio post-sovietico è stato oggetto di una politica imperialista. Ma la congiuntura favorevole dei prezzi delle risorse energetiche ha permesso di creare in Russia un prezzo sufficientemente efficiente per l’accumulazione di capitale. Con l’aiuto dell’Unione Economica Euroasiatica, che è un’alleanza dei paesi borghesi, e non è la URSS-2, Mosca cerca di conquistare una posizione più o meno dignitosa nel sistema mondiale della divisione del lavoro. Tali alleanze, come l’Unione Economica Euroasiatica, sono pensate con un unico obiettivo: organizzare efficacemente il processo di estrazione del profitto, che può essere ottenuto solo dallo sfruttamento delle forze di lavoro. Come dovrebbero sentirsi i comunisti riguardo a tale alleanza? La risposta potrebbe sembrare paradossale, abbiamo il dovere di sostenerla!
Innanzitutto, l’Unione Economica Euroasiatica, è un’unione volontaria. Ed è ricercata non solo dalla borghesia, ma anche dalla maggioranza della popolazione. Da parte dei comunisti sarebbe un’insensatezza da un punto di vista dottrinario andare contro questo processo solo perchè perché questa Unione non porta alcun beneficio ai lavoratori. Ma questo non significa che non dovremmo criticarla. L’Unione Economica Euroasiatica consente alla borghesia di trarre benefici economici, ma lascia i lavoratori politicamente divisi. I comunisti devono criticare l’ incoerenza della borghesia e chiedere una piena fusione politica dei paesi. Il capitale è più facile da nazionalizzare quando è più concentrato. Se ci sono meno divisioni politiche è più facile per il proletariato far fronte al potere del capitale.
Nei suoi scritti, V. Lenin parla della necessità di unire le nazioni e deduce la seguente formula: i comunisti dei paesi oppressori devono difendere la libertà dei paesi oppressi e difendere la loro secessione. I comunisti dei paesi oppressi possono appoggiare sia l’indipendenza politica della loro nazione, sia la sua inclusione nello stato vicino. Nella «libertà» di secessione e «libertà» di unione c’è un genuino internazionalismo. E non può esservi altro modo per unire le nazioni. Secondo V. Lenin, i comunisti dei paesi oppressi hanno un leggero vantaggio. Possono sostenere sia la secessione che l’adesione, rimanendo internazionalisti. Ma in tutti i casi i comunisti devono porre la libertà e l’uguaglianza universali al di sopra degli interessi della loro nazione.
Durante gli anni dell’indipendenza, la maggioranza della popolazione ucraina ha sostenuto l’adesione del paese all’unione guidata dalla Russia. Tutti i presidenti ucraini, nonostante la loro politica incoerente, sono stati costretti a tenerne conto. Quando il nuovo governo raggiunse il potere a seguito del colpo di stato nel febbraio 2014, cominciò a seguire un corso strettamente pro-occidentale, ignorando apertamente gli interessi della maggioranza. Allora nel sud-est del paese sono iniziate le proteste di massa, che hanno portato alla «sfilata della sovranità». E questo non è merito di V. Putin. Dopotutto, la sua politica nei confronti dell’Ucraina rimaneva la stessa, sia prima che dopo l’ «euromaidan». E’ La politica di Kiev ad aver subito un radicale cambiamento.
Gli eventi del 2014 ci dicono che la Federazione RUSSA, da oggetto si è trasformata in un soggetto della politica imperialista. Con l’annessione della Crimea e il sostegno della regione del Donbass, Mosca sta cercando di rispondere adeguatamente alla politica dell’UE e degli Stati Uniti, che hanno deciso di dominare in maniera incontrastata l’Ucraina. Kiev, con la sua tirannia nei confronti del sud-est, ha creato tutte le condizioni necessarie per la realizzazione di una politica di successo da parte di Putin. Se, dopo il referendum in Crimea, qualcuno ancora aveva dei dubbi sullo spontaneo desiderio della popolazione locale di unirsi alla Russia, spiegando tale esito con la presenza degli “uomini in verde”, dopo gli eventi in Donbass tali dubbi dovrebbero essere del tutto fugati. Qui non c’era nessun esercito russo ma, al contrario, vi erano militari ucraini che sparavano ai partecipanti al volto e radevano al suolo edifici civili.
In questo caso i comunisti devono denunciare l’incoerenza dei capitalisti russi, che impediscono non solo l’integrazione economica della penisola (molte aziende che operano in Russia, si rifiutano di lavorare in Crimea), ma anche il riconoscimento politico delle repubbliche popolari DNR e LNR (su cui insiste il partito COMUNISTA), temendo immediate sanzioni da parte dell’UE e degli Stati Uniti. Il Donbass si è separato dall’Ucraina per unirsi alla Russia o, almeno, all’Unione Euroasiatica. Invece, sul territorio del Donbass, sono apparse due Repubblica non riconosciute, isolate dall’estero. Così, al posto della dissoluzione delle vecchie frontiere, ne sono nate di nuove. Ma la situazione in Donbass sarà una buona lezione per i lavoratori, i quali avranno modo di capire che la causa della loro sofferenza non può essere inquadrata semplicemente nell’oligarchia, nell’imperialismo della UE e degli Usa, ma nel capitalismo in sé.
Il secondo motivo per cui è necessario appoggiare l’Unione Economica Euroasiatica, consiste nel fatto che si oppone all’imperialismo USA, nostro principale nemico. Inoltre, in una prospettiva di lotta contro gli USA, a volte vale la pena anche di sostenere la UE, soprattutto rispetto alle relazioni con Cuba. Quando Trump annunciò di inasprire il blocco contro Cuba, il capo della diplomazia UE, Federica Mogherini, ritenne tale proposta inaccettabile.
In terzo luogo, l’Unione Economia Euroasiatica, crea molti meno ostacoli rispetto allo spostamento di forza lavoro dall’Ucraina al Donbass, rispetto alla UE. Inoltre, alcuni deputati, hanno manifestato la presunta intenzione di presentare alla duma di Stato della Federazione Russa disegni di legge sull’abolizione dei brevetti di lavoro per i cittadini di DONETSK, che operano in Russia, oltre ai limiti di tempo del loro soggiorno. Se si tratta solo di una mossa pre-elettorale, per i comunisti diventerà occasione per individuare l’incoerenza dei politici borghesi.
In quarto luogo, l’unione con la Russia consentirebbe, almeno in parte, di mantenere l’industria del Donbass — oggettiva condizione di esistenza del proletariato. Il crollo dell’Unione Sovietica ha dimostrato che l’ industria sovietica aveva un’impostazione adatta non solo per la costruzione del socialismo, ma anche per la produzione capitalistica. Per il capitale russo la conservazione del potenziale industriale è una questione di sopravvivenza. L’imperialismo UE e USA, al contrario, cerca di distruggerlo. Se non ci saranno mezzi di produzione, allora non vi saranno nemmeno lavoratori dell’industria. Ma del loro ruolo negli eventi in Donbass parleremo nella prossima parte.
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Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR